Ac/Dc, 47 mila per l'inferno rock di Young

UDINE - Lo stadio Friuli è un inferno. Di quelli però dove ci si diverte, tanto. Per arrivarci basta prendere una “Highway to hell” o montare al volo sul “Rock N’ Roll Train”. Casellante e macchinista, Angus Young. Mercoledì sera lo stadio di Udine è un girone infernale, 47mila (esaurito in quattro giorni) provenienti da tutt’Italia e dall’estero per l’unica data italiana del “Black Ice tour 2010” degli Ac/Dc. Il compito di scaldare un pubblico che carbura a birra dalle prime ore del giorno tocca a Maurizio Solieri, chitarra storica di Vasco, che se la cava portando metà Steve Rogers Band e una voce metal come Michele Luppi. Il tempo di cambiare set e entrano Le Vibrazioni. Volano bottiglie e bordate di fischi. L’intervento di Pino Scotto per “Rock and roll” dei Led Zeppelin, dedicato dal cantante a Ronnie James Dio, calma per poco il pubblico. Poi a Francesco Sarcina & Co. tocca ancora schivare le bottigliette lanciate sul palco. Il batterista Alessandro Deidda, è quello che la prende peggio, all’ultimo colpo, prima di uscire dal palco, distrugge la batteria. Il sole è calato, le decina di migliaia di corna diaboliche sulle teste dei fan lampeggiano ad intermittenza davanti ad un palco immenso, sovrastato da due enormi cappelli cornuti siglati dalla A di Angus Young. 21.30 precise. Si spengono i fari. E i due enormi visual sul palco lasciano partire un cartoon animato, sexy e divertente dove un Angus Young macchinista di treno è alle prese con due diavolette dispettose. Partono i freni d’emergenza e la locomotiva si fa reale entrando sul palco sulle note di “Rock N’ Roll Train”.
La chitarra di Angus Young appare dal centro della pedana (35 metri che percorrerà avanti e indietro per tutto il concerto), addosso la mitica divisa da scolaretto, negli occhi e nelle mani solo l’energia del puro rock. “Grazie! Come stai Udine”, urla in italiano Brian Johnson, poi torna all’inglese per un “Noi tutti facciamo rock n roll” e parte “Hell Ain’t a Bad Place to Be”. E l’inferno non sembra proprio aver fatto tanto male agli Ac/Dc, dal 1973 simbolo dell’heavy granitico “made in Australia”, che dopo 200milioni di dischi venduti tornano sul palco nella formazione storica con Brian Johnson alla voce, i fondatori Angus e Malcom Young , chitarra solista e chitarra ritmica, il titanico Phil Rudd alla batteria e Cliff Williams al basso elettrico. Le emozioni diventano forti con “Back in Black”, 1980, rinascita della band dopo la morte del primo cantante Bon Scott. Il pugno stretto e portato al cielo da Johnson racconta più di mille parole. “Buonasera Udine, questa canzone è dell’ultimo album”, e parte “Big Jack” (da “Black Ice”, 5 milioni di dischi venduti), poi arriva ““Qualcosa di speciale”, come dice Johnson sotto la sua coppola scozzese, e il riff è quello di “Dirty Deeds Done Dirt Cheap”. “Shot Down in Flames”, è accolto da bengala accesi nel prato e da Angus che lancia via il cappellino. Al riff, potente e modernissimo, di “Thunderstruck” il pubblico impazzisce. Dopo “Black Ice” c’è il tempo per un blues, la cattivissima ma spassosa “The Jack”, dilatata dalla band con Angus e Brian che si rincorrono lungo la pedana. Sempre chitarra in mano lo scolaretto di 55 anni Young diverte il pubblico con uno striptease che si conclude con i pantaloni calati e i boxer degli Ac/Dc, due lettere per chiappa.
Cala dal cielo una campana nera di 5 metri, Johnson pende la rincorsa e si attacca alla corda del batacchio per i rintocchi a lutto di “Hell Bells”: emozione e spettacolo. In “Shoot to Thrill”, Young sembra un ragazzino, sudato a torso nudo con fuori una temperatura da giacca. Dopo il nuovo “War Machine”, tocca al classico “High voltage” e tutti in piedi (per chi non lo è già) per “You Shook Me All Night Long”. Il fuoco è necessario per la dinamite di “T.N.T.” in cui la batteria diventa incudine nel cuore dei fan. “Si chiama Rosie….” accenna il cantante, e un gonfiabile di 10 metri di una prosperosa lady compare a cavalcioni del treno per “Whole Lotta Rosie”. La chiusura è scritta nella storia. Su “Let There Be Rock” nei visual le copertine degli album si animano, una storia di rock con Angus Young come icona assoluta che si scatena in un assolo finale di 20 minuti. “Duck walk”, corse sfrenate, chitarra sopra la testa, in ginocchio, disteso, simulando convulsioni sulla pedana che diventa ascensore. Non sbaglia mai una nota, macina chilometri e tiene in pungo il suo pubblico a cui dà tutto e riceve tanto. Young è uno dei più bravi chitarristi al mondo, almeno facendo sul palco tutto quello che fa. Chi non lo pensa, non l’ha mia visto dal vivo. “Buonanotte, grazie!”, saluta sotto la sua coppola Johnson. Poi arrivano i bis. Da un denso fumo rosso, spunta Angus, diavoletto del rock, con tanto di corna. È “Highway to Hell”. È l’apoteosi. Johnson indossa la maglietta dell’Italia e Young gli arriva a suonare fin sotto le gambe. I saluti sono per “For Those About to Rock (We Salute You)”. Sul palco si materializzano quattro batterie di cannoni che sparano a salve in cielo per salutare i 47mila dello stadio. “Forza Italiaaaaa” urla Johnson, solo applausi per chi la storia del rock l’ha scritta e continua a farlo.